IT'S AN INSIDE JOB-VALENTINA BRIDI
IT'S AN INSIDE JOB-VALENTINA BRIDI

IT'S AN INSIDE JOB

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UPDATE On my knees to rise and fix my broken soul. Sono arrivata in fondo. A quanto pare ce l'ho fatta. I Pearl Jam sono stati la colonna sonora della mia vita. Mi hanno cresciuta. E nei momenti più bui mi hanno salvata. Durante la chemioterapia tiravo la tendina mettevo le cuffiette e lasciavo scendere le lacrime. Ripetendomi come un mantra che ero bravissima. Ad affrontare tutto ed andare avanti. A Londra ho fatto lo stesso. Ho messo le cuffiette e un passo dopo l'altro, una canzone dopo l'altra, sono arrivata in fondo. It's an inside job. Ho corso? Poco. Ai 32 km ho chiamato la mia amica di sempre per dirle che non ce la facevo più. E lei mi ha ripetuto quelle stesse parole. Sei anche troppo brava Vale. Se non ce la fai va bene uguale. Ai 35 km mi aspettavano Valerio e i miei bambini. Ci siamo presi per mano e siamo arrivati al traguardo insieme. In un'immagine che ci rimarrà dentro per sempre. La mia maratona era prima di tutto per loro. Per dirgli che qualsiasi cosa succeda nella vita ci si prende per mano e si va avanti. Insieme. Ho pianto tanto, un pianto liberatorio che ho tenuto dentro per tanto tempo. In fondo questo era per me la maratona. Un lungo viaggio dentro me stessa. A tutte le ragazze là fuori che si trovano oggi a fare i conti con la malattia vorrei ripetere quelle parole che sono diventate un mantra da un paio di anni a questa parte. Siete bravissime. Siamo tutte bravissime, ad affrontare tutto ed andare avanti. E lo siamo anche quando ci sembra di non farcela. Perché ho voluto fare la maratona nonostante io e la corsa siamo rimaste fino all'ultimo passo due mondi a parte che hanno deciso di non incontrarsi mai? Perche' ho pensato di poter comunque in qualche modo dare un messaggio di speranza. Soprattutto a tutte le ragazze là fuori che come me non si sentono guerriere. Che fanno fatica, che si sentono sole, che restano indietro. A tutte noi che dalla malattia usciamo a pezzi. Andiamo bene comunque. È orribile quello che ci succede. E ingiusto. E a volte sembra non ci sia concesso nemmeno pensarlo. Possiamo dirlo invece. E in qualche modo possiamo comunque ripartire. Senza bisogno di edulcorare o banalizzare la nostra malattia. Se sono arrivata in fondo io, possiamo farcela tutte. *********************************************

Sono Valentina. Ho 34 anni e un anno fa ho scoperto di avere un tumore al seno.

L’11 gennaio 2016 un chirurgo buono con gli occhi di un padre si è seduto di fronte a me e mio marito  e quasi scusandosi ci ha detto che quel nodulo al seno spuntato fuori da non so dove non era innocuo come sembrava. Un tumore "vivace". Triplo negativo.

Poi un sacco di parole che ancora oggi mi sembra impossibile abbiano a che fare con me. Stadiazione. Pet. Linfonodi. Chemioterapia. Test genetico. Intervento.

33 anni due bambini un grande amore e un lavoro che finalmente andava come volevo. Tutto in un attimo sembrava non esistere più.

Sono arrivata allo IOV – Istituto Oncologico Veneto  disperata. Arrabbiata. Come una bambina che pesta i piedi e pensa di poter cancellare con un capriccio tutto quello che non le piace. Continuavo solo a ripetere che quel cancro non lo volevo, non era giusto.

Quando  mi sono seduta di fronte a Silvia (la Dott. ssa Michieletto,la mia chirurga) le ho chiesto piangendo se potevo guarire. Se aveva mai operato altre ragazze con tumori "vivaci" come il mio che dopo le cure stavano bene. E lei con quel sorriso che noi pazienti conosciamo bene mi ha risposto semplicemente  “Certo. E con quelle ragazze quest’anno vado a New York per correre la maratona”. E dietro il referto della visita una dedica che è diventata la prima pagina di quello che chiamo il mio librone degli orrori .  Mi diceva  di dare un’occhiata alla pagina della Rete del  Dono.

Il giorno della prima chemioterapia  ho letto la storia di tutte le ragazze del progetto #runforiov e per la prima volta da quell’11 gennaio ho pensato di potercela fare. Di poter tornare a vivere.

La maratona è una metafora della vita.

E’ un regalo che voglio fare a me stessa, per riprendermi un corpo stravolto da un anno di dolore e di terapie.

E’ un regalo per i miei bambini, che si porteranno dentro per sempre il messaggio che la loro mamma è fortissima e che qualsiasi cosa succeda nella vita non si molla. Ci si prende per mano e si va avanti. Insieme.

E’ un regalo per tutte le donne che si trovano ad affrontare questa malattia e pensano di non potercela fare. Vorrei abbracciarle una ad una. Saranno con me ad ogni passo.

E’ un regalo per le tante amiche conosciute in quest’anno che si trovano a fare i conti con la fase  più difficile della malattia, quella metastatica. Per loro più che mai è importante che la ricerca non si fermi e trovi al più presto nuove terapie.

E infine è un regalo per lo IOV – Istituto Oncologico Veneto e per tutte le persone straordinarie che ci lavorano.  Il mio modo di dire grazie per avermi riportato alla vita dandomi la migliore possibilità di cura per la mia malattia. Con professionalità e umanità.

1 donna su 8 nel corso della vita si ammalerà di tumore al seno. Una figlia, una mamma, una sorella, un’amica, una moglie, una compagna. Aiutaci a finanziare la ricerca. Aiutaci a curare e salvare le nostre donne.

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