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Avevo 20 anni e la vita davanti...

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In quegli anni facevo parte della squadra nazionale di ginnastica ritmica ed aspiravo alle Olimpiadi di Londra 2012. Ero titolare della squadra nazionale italiana dal 2009, e con essa diventai campionessa del mondo per due anni consecutivi.

Iniziai a fare ginnastica in età molto matura e questa divenne da subito la mia più grande passione, il mio più grande amore. Iniziò tutto per gioco, ma velocemente si trasformò nella mia professione.

All’età di 16 anni mi trasferii a desio per allenarmi al centro tecnico federale, il luogo in cui la mia vita cambiò radicalmente. Ero felice... dedicavo quasi tutto il mio tempo a ciò che più amavo fare, mi allenavo con ginnaste che rivestivano i panni di quegli idoli che ammiravo da lontano... era tutto più grande di me ma mi sentivo nel posto giusto.

Passai un anno a lavorare sodo, dentro e fuori dal “campo”... imparai ad affrontare situazioni di estrema difficoltà insieme alle mie compagne, ma con il tempo mi accorsi che qualcosa non andava proprio nel verso giusto...

La ginnastica ritmica è uno sport estetico, e svolto ad alto livello, la componente fisica è di estrema importanza. Il controllo assiduo del peso e l'associazione dello stesso al gesto atletico mi hanno fatto entrare in un vortice dal quale, di lì a poco, non seppi uscire...

Iniziai ad accorgermi che il mio rapporto con il cibo non era sano... in quanto non mangiavo per necessità ma bensì per colmare dei vuoti emotivi che sopperivo ogni qualvolta mi sentissi giudicata e sola. La resistenza che misi in pratica per gestire tutte queste emozioni non mi permise subito di identificare la problematica, anche perché nel mondo della ginnastica tutto questo è alla regola del giorno.

Le mie giornate giravano intorno al peso del mattino, che rigorosamente veniva controllato. Anche solo 100g in più o in meno mi facevano sentire una persona peggiore o migliore...

Sapevo che non potevo andare avanti così e sapevo che in quell’ambiente non avrei mai potuto risolvere una condizione tale, quindi decisi di smettere, per dovere e non per volontà, in quanto la ginnastica fosse ancora parte di me e io parte di lei.

Passai i primi due mesi quasi serenamente... mi sentivo fuori da una gabbia, ma la calma era apparente... Il mio corpo cambiava e non accettavo la sua trasformazione, più non la accettavo, più mangiavo...sostituivo qualsiasi tipo di emozione negativa con l ingurgitare grosse quantità di cibo fino a star male, ma non arrivavo mai al punto di vomitare, nè me lo auto provocavo...

Nella mia ingenua ignoranza conoscevo soltanto due disturbi alimentari, l’anoressia e la bulimia, di conseguenza associavo questi miei comportamenti ad una mancanza di forza di volontà nel sapermi rialzare e quindi reagire, lo stesso giudizio che per anni mi sentivo dare quando non riuscivo a perdere peso.

Passarono così 3 mesi nei quali ingrassai 25 kg, la mia solarità si era spenta e non facevo che nascondermi per mangiare. Ero felice solo quando aprivo un pacchetto di patatine e subito dopo mi finivo un pacco di biscotti... ero però pienamente consapevole che al termine dell ultimo boccone mi avrebbe sotterrato il senso di colpa, che era allo stesso tempo la spinta per ricominciare a mangiare cercando di affogarlo nelle calorie... ma la famosa metafora del “cane che si morde la coda” fa ben intendere quanto una cosa non risolvesse l'altra.

Il primo passo fu quello di andare da una nutrizionista. Al termine del colloquio mi guardò negli occhi colmi di lacrime e mi disse: “Giulia, se in questo momento ti do una dieta, tu ingrassi altri 25kg”.

Ricordo ancora la sua estrema delicatezza nell’invitarmi ad iniziare un percorso in un centro dove si studiano i disturbi dell’alimentazione, il centro AIDAP. Mi venne diagnosticato il disturbo da alimentazione incontrollata (BED). Per quanto fossi ignara di tutto ciò a cui stessi andando incontro, l inizio di questo percorso mi diede da subito delle nozioni in merito alla patologia, avevo dato un nome a ciò che mi stava accadendo.

Non dimenticherò mai il primo sospiro di sollievo dopo la pronuncia di quattro semplici parole, “NON È COLPA TUA”. Fu difficile crederci, ancora oggi il mio senso di colpa è un punto debole, come è debole l’accettazione che ho di me stessa, un mostro con il quale combatto ogni giorno, mi era stato detto infatti che non ne sarei mai guarita ma bensì avrei imparato a conviverci.


Corro per aiutare la ricerca nella cura dei disturbi dell’alimentazione!

A te chiedo di donare per AIDAP Ricerca e Prevenzione, affinché quello che è successo a me non succeda ad altre ragazze/i.

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