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Verso il Sud Sudan con BLS Anne

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Benvenuti in Sud Sudan!
Ma il benvenuto è un saluto associato all’ingresso in un luogo accogliente. E questo non è il nostro caso.
Il Sud Sudan è il paese più giovane al mondo che nel 2011, dopo oltre cinquant’anni di conflitto, ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan per poi cadere nuovamente in una guerra civile tutt’ora in corso.
In questa missione non sono da solo ma con Anne, manichino BLS – Basic Life Support.

Anne sarà la mia spalla durante i corsi di primo soccorso al personale sanitario dell’Ospedale governativo di Tonj e mi aiuterà a informare la comunità sulle tecniche di base per salvare la vita in caso di emergenza.

Anche tu puoi essere con me: abbiamo bisogno del tuo aiuto per migliorare le condizioni delle persone che vivono qui.

 

DAY 63

Gli ultimi giorni di caldo sono passati, piano piano la pioggia ridona vita a questa terra. Vita che ci saluta mentre la macchina imbocca la strada verso l’aeroporto di Wao. Con me oltre ad Anne c’è anche Alessia, la mia fidanzata, medico volontario anche lei, venuta a scoprire questo mondo. L’interminabile pista piena di buche ci ricorda come qui sia difficile vivere. Siamo costretti a un’andatura lentissima a causa dell’ultima pioggia che ha reso impraticabile la maggior parte della carreggiata. Dentro di me corrono molti pensieri, molta malinconia e voglia di provarci ancora. Voglia di tornare.
E mi chiedo il perché di questa volontà. Dopo essermi trovato a lottare contro ogni sorta di ostacolo alla vita di mamme e bambini, dopo aver accompagnato storie di pallottole e violenza e dopo aver affrontato una sparatoria nel villaggio forse dovrei dire: “Ok, basta così”. Invece trovo un motivo per tornare negli sguardi di coloro che incontro per strada e che si ricordano il mio nome, nelle parole degli studenti che desiderano un futuro diverso dal loro presente. Trovo un motivo guardando questa strada piena di buche. Ora è un ostacolo, ma basterebbe poco per rimetterla in sesto: la buona volontà, le mani di tutti. Ora capisco che se non tornassi non potrei godere di quella pista rossa che, una volta aggiustata, permetterà di raggiungere l’ospedale di Tonj in pochissimo tempo.
Le antenne della radio di Wao ci danno il benvenuto nel centro abitato e con loro si chiude questo viaggio. Io Alessia e Anne ci sentiamo in dovere, guardando questa terra dal finestrino dell’aereo, di ringraziare chi ci ha donato la consapevolezza che uscire dagli ultimi posti delle graduatorie mondiali non solo è un diritto di tutti, ma è anche possibile. Anche qui in Sud Sudan.

 

DAY 56

Questa settimana dall’Ospedale di Tonj ci spostiamo nelle scuole.
Io e Anne abbiamo avuto la fortuna e il piacere di incontrare gli sguardi, i sorrisi e le domande di 1500 studenti. Studenti che ci hanno fatto capire l’importanza di concentrarsi sul futuro, o meglio, sulla possibilità di dare un futuro. Io e Anne, con l’aiuto di questo fiume di ragazzi, abbiamo camminato tra i punti cruciali del first aid. Tra ustioni e morsi di serpente, ci hanno posto molte domande alle quali insieme, abbiamo cercato una risposta . Abbiamo individuato gli aspetti della medicina tradizionale che possono essere utilizzati senza pericoli e quelli che devono lasciare il passo alla medicina moderna. Questo fiume in piena di domande, dapprima timide – io sono pur sempre un cawagia, un uomo bianco, una persona da sfiorare per capire la consistenza della pelle – poi via via più incalzanti, ci ha colpito. Ci ha colpito la sete di sapere e la voglia di migliorare. Cosa che da noi a volte non si nota più, forse perché ci crediamo arrivati. Ci ha colpito l’apertura verso il prossimo. Ogni ragazzo nel porci le domande si riferiva sempre e comunque alla necessità di far stare meglio un’altra persona.
Il vento sta cambiando davvero e in loro lo si nota giorno dopo giorno.
Ma la settimana si sarebbe potuta concludere senza un aneddoto tinto di emergenza? Ovviamente no! Siamo pur sempre in Sud Sudan…
Appena finita la formazione, vado nei pressi del Centro di Salute del villaggio di Thiet e lì il clinical officer mi chiama per un’emergenza. Una donna che, come molte altre, ha deciso di partorire a casa è arrivata al Centro perché il bimbo, mal posizionato, non riesce a uscire. È un’emergenza perché la mamma necessita di un taglio cesareo e perché è in travaglio da due giorni. Ha raggiunto il Centro poco prima del mio arrivo trasportata con una bicicletta: il villaggio dove vive è lontano e non ci sono mezzi per spostarsi velocemente. Chiamiamo subito l’ambulanza dell’Ospedale di Tonj che arriva dopo un’ora. La carichiamo e così inizia il viaggio tra le buche e la sterpaglia della strada che separa Thiet e da Tonj. Arrivati in Ospedale ci fiondiamo in sala operatoria: il bimbo nasce ma non respira. Dopo averlo rianimato, incomincia a strillare e con lui anche la nostra voglia di continuare a lottare… 

 

DAY 49

Il vento sta cambiando.
Chi, come me, è nato in un paese di campagna riconosce il vento che porta pioggia. Per molti quella pioggia comporta disagio, code in autostrada, umido addosso, acqua che bagna la rivista appena comprata. Per altri quella pioggia è speranza, nutrimento per la terra, l’inizio di un periodo in cui non si può aspettare, ma bisogna darsi da fare. Per questi ultimi la pioggia è foriera di cambiamento ed è quasi una benedizione.
Qui in Sud Sudan il vento sta cambiando e sta per portare pioggia. Tutti sono in fermento per preparare il terreno alla semina, tutti stanno dividendo in riquadri la terra per poterla lavorare in più riprese.
Ma il vento sta cambiando anche negli animi delle persone e questa settimana ho visto i primi segnali di un cambiamento. In loro ho visto scatenarsi una patchanka. [Chi conosce i Mano Negra o i Modena City Ramblers sa che la patchanka è un non- genere musicale che lega stili, colori e suoni di ogni tipo per dare origine a una melodia caotica capace di risvegliare l’animo].
Ed è così che martedì scorso si sono presentati spontaneamente tre fratelli per donare il sangue al fratellino più piccolo anemico e ieri un professore picchiato da due suoi studenti si è rifiutato di denunciarli per evitare che andassero in prigione, con il rischio di perderli definitivamente.
Il vento sta cambiando, certo arriverà la pioggia e spero che da questa pioggia nasca qualcosa di nuovo e di nutriente per il futuro del Sud Sudan. Loro sanno che è proprio in questo momento che non bisogna aspettare ma bisogna agire. Il vento sta cambiando, non sprechiamo la pioggia in attesa del sereno.
Ah, dimenticavo! Vi ricordate di Marial? Il vento è cambiato anche per lui: la prossima settimana uscirà dall’ospedale e potrà ricominciare a vivere!

 

DAY 42

Finalmente è finita questa settimana. Mai come oggi speravo che questo giorno arrivasse. Credo di aver raggiunto il record, credo di aver chiesto al mio essere fin troppo, credo di essermi spinto oltre quel livello che per molti è insopportabile.
Questa settimana sono passati oltre due bimbi, i più giovani che abbia incontrato qui: no di cinque mesi portato via dalla malnutrizione e l’altro di otto mesi portato via da una polmonite. Li ho visti passare oltre e, impotente, sono rimasto lì a sperare che tutto ciò che avevamo fatto fino a quel momento potesse tenerli aggrappati a quei due corpi raggrinziti. E invece sono volati via.
È in giorni come questo che ti chiedi se tutto ciò ha senso, se la colpa risiede in qualche cosa, se ogni sforzo serva davvero. Ti chiedi se davvero vale la pena di far quadrare i conti per comprare farmaci o pagare stipendi al personale di queste strutture se poi loro volano comunque via.
Ci perdi il sonno, a volte anche le nocche delle mani che si scontrano contro il muro della pediatria in preda a una crisi di nervi perché è difficile accettare e andare avanti. Ma poi rientri in quel reparto e vedi il vicino di letto, che ha sempre visto la tua schiena mentre cercavi di combattere contro il divenire delle cose. Lo vedi che ti osserva e con lo sguardo ti scruta… E capisci che ormai sei in ballo e devi ballare.
La scelta è già stata fatta e non resta che provare a regalargli la possibilità di viversi la vita. Ancora con la tristezza cerchi di ripartire, ripartire da lui, e capisci sempre più che da solo non puoi andare molto lontano. Capisci che se vuoi davvero risalire gli ultimi posti dalle graduatorie mondiali devi andare avanti e devi portare sulla tua strada altri che ti aiutino.
Finalmente questa settimana è finita. Domani è domenica e i tamburi iniziano presto la loro danza, quindi non è tempo di morire. La settimana nera si è conclusa anche al Tonj Civil Hospital.

 

DAY 35

Il tempo qui in Sud Sudan passa velocemente. È già un mese che il sole scalda me ed Anne nelle lunghe giornate passate all’Ospedale Civile di Tonj.
Ora però ci prendiamo una pausa e decidiamo di andare più a nord, verso un altro ospedale supportato dal CCM. Pausa per modo di dire, perché terremo un altro corso di BLS. La strada che unisce Tonj a Maria Lou è lunga e quasi deserta. Su questa eterna e rovente linea rossa incrociamo gli sguardi di moltissimi camminatori che si spostano con i loro fagotti più o meno pesanti. Man mano che i km passano la natura si fa sempre più ostile e gli enormi alberi di mango lasciano il posto ad alberelli e arbusti più rachitici. Qua e la compaiono tukul - abitazione tipica di questa area del corno d’africa - semi abitati o abbandonati. Passano le ore, la lamiera dell’auto si scalda sempre di più e le ossa delle nostre gambe iniziano a farsi dolenti per le innumerevoli buche scavate dalle piogge passate. Dopo aver attraversato i villaggi di Thiet e Kacuat finalmente arriviamo a Maria Lou. Oltrepassati una ventina di tukul abbandonati arriviamo finalmente all’Ospedale dove trovo una lunga fila di taniche gialle che aspetta di essere riempita e caricata sulle spalle per tornare a casa. Mi chiedo perché e trovo subito la risposta: all’Ospedale c’è l’unica fonte d’acqua del villaggio e la popolazione è costretta a inseguire la poca acqua disponibile. In questo Ospedale rurale, in espansione e rimodernamento, lavorano circa 20 infermieri in formazione affiancati dallo staff del CCM. Qui Anne, insieme al personale locale, torna a scoprire la vera importanza del continuo lavoro per abbattere la mortalità di mamme e bambini e favorire uno sviluppo che duri nel tempo.

 

DAY 28

I giorni passano e così anche le storie di chi cammina per ore pur di ricevere cure. A volte anche solo per una diagnosi, perché qui la medicina tradizionale è ancora molto influente, un misto di magia e ritualità di indubbia forza.
Ma oggi è un giorno speciale perché voglio raccontavi una storia, un esempio di collaborazione e cooperazione internazionale.
Tutto inizia qualche anno fa quando Marial, giovane ragazzino di 10 anni circa, ha un incidente. La sua gamba sinistra si frattura e viene ricoverato nella città di Wao. Dopo lunghe cure Marial torna a casa ma, come succede spesso qui, la frattura si complica e l’osso si infetta. I genitori, vedendo il figlio peggiorare, racimolano qualche soldo per trasportarlo all’Ospedale di Tonj. Qui Alaje - chirurgo del CCM - conferma che l’unica alternativa possibile è l’amputazione. A seguire la fatidica richiesta: “C’è qualcuno che può donare il sangue a questo ragazzo?”
Questa domanda desta sempre reazioni contrarie, un misto di paura e diffidenza. Risultato: non si trova un candidato! Mentre noi dello staff non abbiamo un emogruppo compatibile. Inizia così la ricerca di una persona disponibile con il tempo che passa, le condizioni di Marial che peggiorano e le speranze di poterlo salvare che diminuiscono.
Storie di ordinaria frustrazione, direte voi, ma questa volta è diverso. Perché poco distante dall’Ospedale civile di Tonj c’è una struttura sanitaria gestita dai salesiani. Lì troviamo Roberto, un volontario dell’associazione Tonjproject che li sta supportando.
È venuto a sapere del ragazzo e decide di verificare se il suo sangue è compatibile. E cosi è!
Ora Marial sta bene, certo senza una gamba, ma con la volontà di riconquistare la vita. Nei suoi occhi brilla la luce di chi vince e di chi non si accontenta di una sola vittoria. Lui, senza saperlo, è diventato il simbolo di come la cooperazione possa davvero funzionare se tutti partecipano.
In Marial ora c’è il futuro, c’è il futuro di chi non aveva futuro! E in Marial mi piace vedere un po’di Roberto, di Alaje, dell’anestesista Iddi, di suor Jane, dell’infermiere di sala Santo, dello staff dell’Ospedale. E anche di voi, che continuate a sostenere il CCM e i suoi progetti.

 

DAY 21

Qui si lotta, non solo per mangiare o per difendersi dalle malattie. Questo mi ha detto un ragazzo stamattina. Subito non ci ho dato troppo peso, pensando che fosse l’ennesimo modo di chiedermi qualche pound o una qualsiasi cosa da barattare con un pezzo di pane nel Market del villaggio.
Il Market! Posto al centro di Tonj, è un luogo di bancarelle e di armi, dove trovi di tutto, dal cibo etiope a un buon motivo per iniziare una rissa. Qui si lotta appunto. E al Market ti dimentichi il perché dopo i primi dieci calci e pugni.
Nella fascia di villaggi intorno a Tonj invece, quella che noi chiameremmo periferia o cintura e che qui chiamano bush, gli abitanti sanno bene il motivo degli scontri. Ad Aguka, Cueibet, Monyangok, Mabioryar, Thiet e Malualmok si lotta per rivendicare e controllare terre, si lotta per il bestiame, si lotta tra gente della stessa etnia (gli abitanti di questi villaggi sono tutti Dinka). Il fiume rappresenta un confine e attraversarlo un buon motivo per scatenare una reazione violenta.
In altre zone gli scontri coinvolgono etnie diverse e poco più a nord, al confine, il conflitto con il Sudan sembra non essersi ancora esaurito.
Qui si lotta e qui CCM porta avanti la sua battaglia per proteggere le mamme e i bambini.

 

DAY 15

Sono appena tornato dall’Ospedale di Tonj ed è stata una giornata emotivamente pesante. Due bimbi che hanno lasciato il posto ad altri, come si usa dire da queste parti, molte ferite da arma da fuoco soprattutto per rivendicazioni di bestiame e tanta malnutrizione.
La stagione secca si porta dietro molte anime, alcune per la mancanza totale di cibo, altre perché per cercarlo, quel cibo, compiono gesti avventati come salire in cima a una pianta di mango. Ma se devo essere sincero il bilancio della giornata è positivo. Ma come si può considerare positivo il bilancio di una giornata che è più simile a un bollettino di guerra?
È positivo perché si è aperta la campagna per la vaccinazione contro la meningite. Bambini, ragazzi e adulti che si recano verso i punti predisposti alla vaccinazione. Zainetti di ogni fattura e colore si muovono in direzione dell’Ospedale.
È positivo perché Anne ha finalmente fatto conoscenza con il suo pubblico: un piccolo gruppo di infermieri e ostetriche che ha affrontato i temi del primo soccorso e del BLS.
Oh, scusate: mi stavo dimenticando una cosa! È positivo anche perché ho incontrato un piccolo gruppo di germogli d’erba per terra. Sapete cosa vuol dire? Significa che la stagione secca è al termine e, con l’arrivo delle piogge dapprima sporadiche poi torrenziali, questa terra ostile diventerà verdissima e la malnutrizione rallenterà, almeno per qualche mese.
Probabilmente darà il cambio alla malaria perché in Sud Sudan nulla è gratuito e gli equilibri sono sempre molto precari! 

 

DAY 1

Eccoci arrivati. Ad attenderci il caldo umido della capitale Juba e pochi giorni dopo il clima più secco di Tonj, nello Stato di Warrap. Qui il termometro segna 45 gradi, durante le ore di punta la natura sembra rallentare e il sole brucia anche i pensieri. Ad accogliermi un’equipe molto ospitale: hanno preparato la capra arrosto per darmi il benvenuto. Cosa dire del luogo in cui mi trovo? È difficile trovare le parole giuste per descrivere quello che, alla prima impressione, mi è sembrato un luogo simile all’inferno. Qui i numeri della povertà estrema si vedono davvero: la malnutrizione cammina mano nella mano con la criminalità, senza contare le pallottole sparate per reclamare capi di bestiame o terreni. Ma oggi è domenica e non si muore. La mattina suoni di tamburi annunciano la giornata di festa, gruppi di persone si riversano nel fiume per il bagno settimanale che poi diventa un’occasione di gioco e incontro. Tra il personale sanitario, qualcuno va al mercato in cerca di verdura, altri portano i saluti a un’ostetrica che è appena diventata mamma. Oggi non si muore, oggi non si entra nelle graduatorie mondiali del peggio del peggio. Oggi si vive, ma ieri e domani sono stati e saranno giorni in cui lottare per un’altra giornata come oggi.

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