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Un asilo per i bambini di Kabul

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Immaginate uno stadio di calcio pieno come un uovo per un derby importante. O gli abitanti tutti di una città come L’Aquila. O la gente stipata in piazza San Giovanni, a Roma, durante il concertone del 1° maggio. Ecco. Altrettanti sono i bambini che a Kabul lavorano in strada. Oltre 70.000 bambini a rischio, che lavorano per le strade di una città in guerra, portando a casa circa 2 euro al giorno. Bambini e bambine che si alzano alle 5 del mattino. Pregano, aiutano in casa e poi raggiungono la strada dove puliscono le auto. Puliscono le scarpe, vendono caramelle, passano il fumo dei carboni sui passanti per dar loro una benedizione, invitano la gente a pesarsi su bilance sgangherate o vengono presi a giornata da meccanici, fabbri o altro. Moltissimi di loro si prostituiscono. Per la maggior parte sono maschi, danno meno nell'occhio. Si prostituiscono nei retrobottega, nelle officine, nelle auto, negli hotel o, se non portano il dovuto ai loro sfruttatori, ripagano il mancato guadagno della giornata con prestazioni sessuali. Tra i clienti anche militari, contractors, operatori umanitari, insospettabili uomini d’affari. Sempre la stessa schifosa storia di sempre, come in Vietnam, in Cambogia, in Laos e ovunque la guerra rende i più vulnerabili facile oggetto su cui sperimentare, lontano da occhi indiscreti e moralismi solo di facciata, le proprie perversioni spendendo meno, molto meno, che per un pacchetto di sigarette. I bambini vengono anche usati come corrieri della droga e per questo resi dipendenti della droga, come si fa con i cani che ti annusano all’aeroporto. Tossici a 10 anni, strafatti e disposti a tutto pur di ricevere alla sera quel che gli serve per dimenticarsi anche di essere vivi, almeno per qualche ora. E quindi che si fa? Che si fa per loro? Ci indigniamo e basta? Ci rattristiamo e basta? Riteniamo di non poter fare nulla e che in fondo non sia una nostra responsabilità? Passiamo oltre? Noi di Pangea non abbiamo certo l’arroganza di pensare di poter salvare l’umanità tutta dagli orrori che si auto infligge. Ma a stare con le mani in mano proprio non siamo capaci. E così, a Kabul, portiamo avanti dal oltre 10 anni due progetti che, un giorno alla volta, una persona alla volta, cambiano le vite. Salvano vite. Con il Progetto Jamila offriamo alle madri dei ragazzi costretti a lavorare l’opportunità di imparare un mestiere e con un micro credito di aprire un’attività che permetta loro di guadagnare quel che basta per la famiglia. Così, alla fine, evitiamo che i loro figli - se anche vanno a scuola al mattino - il pomeriggio debbano non prendere una bilancia sgangherata da sotto una siepe per pesare i passanti in cambio di pochi spicci. E questo, come vi ho raccontato, nella migliore delle ipotesi. Con Casa Pangea, ovvero il nostro asilo, proteggiamo quelli ancora più piccoli. E allora, e so che conoscendomi perdonerete la schiettezza, guardate in faccia questo ragazzino, con il grembiule della scuola e la bilancia in mano e chiedetevi: quanto vale? Poi, quando avete stabilito una cifra, scrivetela qui sotto e donate.

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