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INSIEME

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Ero in macchina quando arrivò la telefonata per avvisarmi che il medico dello I.O.V. - Istituto Oncologico Veneto mi voleva parlare del referto: la settimana prima avevo fatto l’agoaspirato perché dalla mammografia e dall’ecografia era spuntata una massa alla quale “dover dare un nome”; risposi che sarei arrivata di lì a poco per questo mio difetto di voler sapere sempre subito, a tutti i costi, anche le notizie più brutte.

Chiamai mio marito il quale mi disse “andiamo insieme!” ...ancora non sapeva quante volte e quanto a lungo si sarebbe ripetuto quell’ “insieme”.

E così accadde quello che mai avrei pensato potesse succedere a me (perché, per non so quale deformazione mentale, si è sempre portati a pensare che le cose brutte succedano agli altri): tumore maligno… l’infame si era infilato nella mia parte più intima, attaccato sotto pelle e questo suo errore mi aveva permesso di notarlo. Non che non facessi i controlli ma era passato un po' di tempo dall’ultimo, perché dopo la gravidanza del mio terzo figlio avevo aspettato di terminare l’allattamento per riprendere i controlli di routine.

La notizia di un tumore azzera l’idea che ti porta a pensare di godere della vita con una disponibilità illimitata, ti cancella la certezza del domani, quante volte mi sono detta: “oggi non ho tempo, farò domani”, e se è nel domani che non avrò più tempo? E fu proprio in quel momento che mi travolse il desiderio di scalare una montagna e dall’alto di essa gridare alla valle tutta la mia disperazione ma, come nei peggiori incubi, la bocca si aprì e nessun suono sembrava volesse uscire, solo umide e tiepide lacrime.

Ero approdata allo IOV mandata dalla mia ginecologa, la quale probabilmente aveva già capito tutto, ma che, con la delicatezza che l’ha sempre contraddistinta, mi disse solo di affidarmi ai medici dello IOV, molto preparati, organizzati e veloci.

Ed effettivamente il fattore tempo, come scoprii dopo, era essenziale: il mostro era già abbastanza cresciuto per fare danni e quindi si rendeva necessario l’intervento a breve. Quando arrivai dal medico che mi convocò per parlare dell’intervento la mia preoccupazione, fortunatamente infondata, non era rivolta al fatto che avrei dovuto rinunciare ad un pezzo di me per estirpare la bestia che si stava nutrendo del mio corpo, quanto piuttosto che con quel pezzo di carne, fino a qualche mese prima, avevo nutrito un innocente (al quale, è certo, avrei dato la mia vita) e con lo stesso canale avrei potuto servirgli un pasto fatale.   

Dopo il primo intervento ne seguì un secondo, il tumore è una forma di male subdola perché è silenzioso e sa nascondersi bene… per poterlo sradicare bisogna usare anche la forza e così iniziarono le terapie: giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, lottai a denti stretti, come mia madre mi aveva insegnato perché è così che si deve fare nelle difficoltà. Ma purtroppo non tutti i giorni mi trovavo dalla parte dei vincitori ed è proprio in quei giorni, quelli più bui, che l’ ”insieme” dato dai miei cari, mi caricava sulle loro spalle e metteva il balsamo sulle ferite.

I primi mesi attraversavo i lunghi corridoi dello IOV con un fardello pesante, un macigno che rallentava il mio incedere, e non nego che di fronte a questo male invisibile ero pronta a scagliarmi contro chi, suo malgrado, era costretto, per il mio bene, a darmi le notizie, anche le più scomode. Ma è stato un po' alla volta, mano a mano che il percorso si delineava, mano a mano che si cominciavano a tagliare i piccoli ma costanti traguardi, ecco, è proprio lì che a “IOV” iniziai ad associare la parola “LOVE” (se ci fate caso si assomigliano foneticamente e non solo): sono entrambe piene di sentimenti, emozioni a volte esasperate ma pur sempre vere e quando riuscii a capire che quelle sale erano occupate da medici e infermieri che facevano parte di una squadra affiatatissima che lavorava per portarmi alla vittoria (e in questo caso una vittoria equivale ad una vita), quei corridoi sembravano volgere al basso, una discesa lenta ma continua, un evaporare di materia, che mi faceva piano piano sentire quella leggerezza che si prova alla festa di una squadra vincente, alla fine di una gara; perché sì, è una festa quando hai avuto salva la vita, quando i tuoi compagni ti hanno fatto da battistrada e ti hanno permesso di tagliare il traguardo. E lì allo IOV posso dire che a me la vita l’hanno salvata.

Arrivai sulla sedia della psicologa dello IOV quando ormai avevo terminato le terapie più invasive, quando l’impatto della vittoria mi aveva lasciato felice ma confusa; la mia vita era stata stravolta, come una valanga che mi aveva trascinato giù a valle ma, che nonostante la sua forza distruttrice, mi aveva lasciato bocconi, faccia a terra ma ancora viva. “E adesso, che succede? Cosa mi devo aspettare?” Questa la domanda che si pone chi dopo la tempesta non sa se rimboccarsi le maniche e ricostruire la sua casa distrutta dalla furia della natura o se aspettare di vedere se la coda della tempesta sia ancora in alto nel cielo in attesa di colpire nuovamente; perché la bestia non si porta via solo carne e sangue dal tuo corpo, ti toglie la capacità di desiderare, la sua voce beffarda ti ripete nella testa: “hai avuto salva la vita, puoi ancora respirare, mangiare, bere, camminare… cosa vuoi di più?…non oserai sognare?!..”

“Ci sono ragazze che dopo aver sconfitto il cancro si sono messe a correre e hanno fatto la maratona: i medici dello IOV le sostengono”. Rimasi senza fiato quando sentii questa frase la prima volta, un tuono in pieno luglio che illumina il cielo con tutta la sua luce e potenza. Avrei veramente potuto riavere un futuro così ambizioso? Non sono così fragile anche se mi manca un pezzetto?!?! Lo stomaco iniziò a farmi il solletico come quando sulle giostre rimani quell’istante sospeso in aria prima che la forza di gravità ti tiri giù, la bocca si allargò in un sorriso incontenibile, non riuscivo a fermare il tremolio delle mani che si affrettavano a coprire le labbra fuori controllo…

Ero…sono… elettricità!!

E adesso sono qui a scrivere la mia storia perché voglio far sapere a chi, come me, ha attraversato o dovrà attraversare, quei lunghi corridoi, che c’è speranza, che dopo la malattia può esserci ancora una vita piena di belle cose anche ambiziose, un futuro straordinario che non avresti nemmeno immaginato. So che la tempesta potrebbe ripresentarsi, magari in altri modi, sotto altre forme, ma è proprio questa consapevolezza che mi spinge a gustare ogni attimo di questa nuova vita. 

Il lieto fine di questa storia è che correrò anch’io veramente la maratona, insieme alle ragazze di RYLA (Run Your Life Again) Onlus e ai medici dello IOV nel progetto “RUN FOR IOV” che promuove la raccolta fondi interamente destinati a finanziare l’attività di ricerca e cura del tumore al seno dell’Istituto Oncologico Veneto; io forse potrò anche correre un’intera maratona ma per tagliare il vero traguardo ho bisogno di voi: SOSTENETE LA RICERCA, non serve molto, anche con poco ciascuno, vinceremo “insieme”!….Che aspettate?!…noi abbiamo già iniziato a correre!

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