Giorno 10 - La bellezza salverà il mondo
Giovedì. Ci siamo, ultimo giorno nei campi. Concludiamo la nostra esperienza a contatto con gli sfollati nel campo U3 del complesso di Hassan Sham, il villaggio ridotto in macerie che fiancheggiamo negli ultimi chilometri di strada, presenza spettrale e monito di quanto è avvenuto qui nel 2017. Sembra un inquietante monumento, da leggersi nell'accezione tedesca del termine, "Denk-mal": fermati e pensa.
Anche oggi ci viene proposto un tour del campo. La prima tappa è il presidio sanitario, supportato da Terre des Hommes insieme al ministero della salute e alla Polish Medical Mission, un'organizzazione umanitaria polacca.
Ci accoglie una giovane dottoressa in camice bianco che parla un ottimo inglese e ci mostra la struttura. All'interno si trova una sala d'attesa e sui lati quattro ambulatori che ospitano rispettivamente una ginecologa, una radiologa munita di ecografo, una medico generale; la ragazza che ci guida è specializzata in microbiologia. Esternamente, un apposito spazio è riservato alla farmacia. Lo staff di oggi è interamente al femminile.
Ricevono liberamente, senza appuntamento, eccetto gli odontoiatri che sono presenti due giorni a settimana.
L'importanza di un presidio medico gestito da figure professionali in un contesto del genere è di immediata comprensione, specialmente per il servizio di affiancamento alle gravide, che nel campo sono numerose.
L'altra fermata prevista è un centro ricreativo gestito sempre da TdH. Varcato il cancello ci troviamo in un curatissimo giardinetto, affianco al quale si trovano due tavoli da ping-pong con giocatori e spettatori riparati all'ombra di una veranda.
Il pezzo forte del complesso, però, è un piccolo hangar all'interno del quale si nascondono dei capolavori. Tra le attività proposte, infatti, ci sono la pittura e il disegno: due delle artiste ci accolgono e ci mostrano le opere appese ai muri. Ne restiamo catturati. La dirompente forza di queste produzioni artistiche è resa ancora più abbacinante dal contrasto e dalla rottura con il deprimente contesto in cui sono state partorite.
È l'esaltazione della forza della creatività, capace di crescere nei terreni più aridi e antagonisti.
È un inno dostoevskiano alla bellezza come salvezza del (proprio) mondo, o quantomeno come àncora, come luogo di espressione e realizzazione del sé.
Rientrati alla base dopo aver acquistato i tre dipinti che più ci piacevano proseguiamo con il pranzo e le attività pomeridiane, le ultime dell'esperienza. Io mi alterno tra il campo di pallavolo e la classe di matematica (vecchio amore abbandonato!), alcune delle mie compagne di viaggio si dedicano alla fotografia e al trucco: il giovedì è il pomeriggio di pittura volti, per cui bambini e bambine si affollano intorno a loro chiedendo di trasformare il proprio viso in quello di animali, zombie, Joker...
Il pomeriggio si consuma rapidamente e viene l'ora dei saluti. Qualche foto di rito con lo staff, tante strette di mano e una sfilza di ringraziamenti che non potrà mai dirsi compiutamente esaurita. L'accoglienza che abbiamo ricevuto qui è stata straordinaria.
Per tentare di sdebitarci abbiamo organizzato una spaghettata in giardino con Miriam e parte dello staff che ci ha seguito in questi giorni. È un bel momento per ripensare a quanto vissuto e imparato. Allo stesso tempo, è inevitabilmente un momento triste, in cui realizziamo che è finita e dobbiamo salutare persone alle quali, a discapito del breve periodo trascorso insieme, ci sentiamo genuinamente legati.
Un momento di conclusione e addio dannatamente agrodolce, nonostante gli spaghetti non siano alla soia.