
Giorno 4: Yazidi - Vivere nella minoranza
Venerdì. Qui è giorno libero dal lavoro, per cui il nostro ritorno al campo slitta a domani e oggi siamo liberi di organizzare una gita. Miriam ci propone di recarci a Lalish, luogo sacro della comunità Yazida situato a circa due ore di macchina da Erbil.
Prima, però, occorre raccogliere un po' di informazioni di contesto per capire chi siano gli Yazidi e che significato abbia Lalish per loro.
Gli Yazidi sono un gruppo etno-religioso: c'è una totale omologia etnia e religione, le due cose formano un'endiade inscindibile. Fin dalla propria origine, che viene datata intorno al 1200, questa popolazione occupa la zona del Sinjar e riconosce Lalish come principale centro di riferimento, al punto da considerarla città sacra, meta di pellegrinaggio e unico luogo dove uno yazida possa ricevere il battesimo.
Il battesimo è solo uno degli elementi in comune con altre religioni, poiché sussistono numerosi altri intrecci con Islam e Cristianesimo (ad esempio la figura del diavolo, il credere nella vita dopo la morte, il sacramento del matrimonio, alcune letture e passi sacri come il racconto dell'arco di Noè, ...). Ci sono però anche molte differenze, che nel tempo hanno portato gli Yazidi a riconoscersi come entità etno-religiosa indipendente, subendo conseguentemente il trattamento che viene tipicamente riservato alle minoranze: isolamento, discriminazione, tentativi di epurazione. L'ultimo in ordine di tempo risale al 2014 e vede come autore Daesh/Isis, che ha causato la morte di alcune migliaia di persone e la fuga in massa di gran parte della comunità Yazida dal proprio territorio d'appartenenza, costringendola a rifugiarsi a Lalish e sui monti circostanti, obbligata a sopravvivere per mesi in condizioni difficili.
L'attacco ha causato un importante flusso migratorio del popolo Yazida (principalmente verso Europa, Canada e USA), mettendo in seria difficoltà la sopravvivenza di una comunità già in crisi per ragioni legate alla propria struttura sociale (che prevede una vincolante divisioni in tre caste, senza che sia permesso il matrimonio interclasse, né tantomeno al di fuori della comunità, pena la scomunica e l'allontanamento) e a secoli di isolamento sostanzialmente imposto dalla cattiva reputazione che cristiani e musulmani hanno nei loro confronti, tacciandoli di essere una setta che venera il diavolo.
Nel corso della nostra visita a Lalish, che si svolge fin dall'ingresso in città a piedi scalzi, come la regola richiede, incontriamo molti ragazzi che ci avvicinano allegri e desiderosi di condividere una fotografia, ragazze e donne estremamente curate nei loro eleganti abiti color lilla, uomini appartati in preghiera o in piccoli gruppi riparati all'ombra degli antichi ulivi dalla calura di mezzogiorno. Ci addentriamo nei luoghi sacri ricavati principalmente in forma di caverne e cunicoli all'interno della roccia, ammirando alcune delle immagini sacre, come il serpente e il pavone, in rilievo sui muri.
Sembra gente in pace: con se stessi, con la natura che li circonda, e con noi, benché i nostri lineamenti traspaiano fin troppo chiaramente l'origine Occidentale e la più che probabile appartenenza alla religione Cristiana, verso la quale avrebbero motivo di covare non poco risentimento. Ciononostante ci sorridono, cercano il dialogo (benché la barriera linguistica ci limiti molto), ci invitano addirittura a pranzo.
Sicuramente è gente capace di grande resilienza. Come solo le minoranze sanno essere.