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Possono le professioniste del Non Profit creare dei modelli alternativi di vita e lavoro? La risposta è sì, a giudicare dal successo anche della quarta edizione del Non Profit Women Camp. Svoltosi a Torino il 2 marzo scorso, l’evento ha raccolto oltre 300 partecipanti attorno al tema attualissimo “Re-attive”. Ne ho parlato con Federica Maltese, responsabile fundraising per Fondazione Muse Italia e founder della manifestazione.

Perché il Non Profit Women Camp

“È un’idea nata 5 anni fa un po’ per scommessa” racconta Federica. “Di momenti di networking tra donne del settore già ce n’erano, ma sentivo la mancanza di uno che aprisse tavoli di riflessioni problematiche, spunti e idee”. Le donne rappresentano infatti la forza lavoro principale del non profit e sarebbe stato interessante capire quanto avrebbero aggregato temi comuni come gli stipendi e la conciliazione tra vita professionale e personale. “Ad un certo punto ci convincemmo che saremmo state noi 4 organizzatrici, e invece la prima edizione online fece registrare 120 iscrizioni”.

Re-attive 2024

Reattive alla realtà che ci circonda, al contesto lavorativo, umano e sociale in cui ci muoviamo, reattive a ciò che percepiamo come ingiusto, sbagliato, incoerente. Reattive anche al cambiamento, all’innovazione. Il tema 2024 ha avuto molte sfaccettature, affrontate brillantemente dalle 10 speaker coinvolte. “Viviamo un periodo che richiede prese di posizione, in cui ci rendiamo conto quanto sia vero che se noi non decidiamo lo farà qualcun altro al nostro posto. Dalle nostre questioni contrattuali alle guerre in corso, non possiamo aspettare che le cose succedano ma attivarci e chiederci cosa possiamo fare noi”.

Donne nel sociale: i dati

Reagire a cosa? Prima bisogna conoscere ciò su cui si vuole intervenire. Ecco l’importanza allora dell’affondo di Federica sugli ultimi trend del Terzo Settore a livello lavorativo: in Italia il 75% dei fundraiser è donna, ma solo il 25% riveste un ruolo di leadership. Illuminante anche l’intervento di Valentina Bazzarin, che ha sottolineato come i dati, a seconda di come vengono aggregati e presentati, possono non essere né oggettivi né neutrali ma anzi diventare strumenti di esclusione e discriminazione. “Questo vale anche quando siamo noi ad analizzarli e raccontarli, nei nostri Bilanci sociali e valutazioni di impatto. Avere questa consapevolezza ci aiuta a non essere passive nemmeno sotto questo aspetto”.

I diritti di chi lavora nel Terzo Settore

Guardare ai dati aiuta anche a farsi domande “scomode” sul mondo del lavoro, per abbattere dei tabù: ad esempio sulla differenza salariale tra uomini e donne, presente nel non profit esattamente come negli altri settori. “Michela Calculli ha sottolineato che una battaglia come quella sulla parità salariale va portata avanti prima che ci riguardino in prima persona: una giovane deve considerare che in futuro potrebbe aver bisogno di portare avanti una famiglia da sola, o che vorrà trasferirsi in un’altra città ma oggi il Terzo Settore si concentra solo su Milano e Roma. Io per esempio mi sento una privilegiata per ruolo, stipendio e flessibilità, ma proprio dalla mia posizione sento la responsabilità di portare avanti questa lotta anche per le mie colleghe e per quelle che verranno”.

Negoziare, non contrattare

In questo senso, lo speech di Alessandra Colonna sulla negoziazione ha toccato un punto chiave. “Negoziare non vuol dire fare compromessi, ma dire sì alle nostre condizioni: né cedere, né imporsi. Significa concentrarsi non su quanto l’altro possa perdere, ma su quanto tutti possiamo guadagnare se lavoriamo insieme”. Se la negoziazione non è solo chiedere, ci ricorda che dobbiamo focalizzarci su ciò che come persone e professioniste possiamo dare, piuttosto che solo ricevere. “Questo è lo sprone maggiore per metterci in gioco, anche nelle relazioni con i colleghi: qualcuno sa chiedere, qualcun altro no ma poi si possono creare problemi nel team. Dobbiamo lavorare sempre in ottica win-win, perché le risorse umane non sono intercambiabili. Quando cambia un membro della squadra, cambiano gli equilibri”.

L’unione fa la forza

Questa edizione si è distinta per la presenza di una selezione di speaker di alta qualità e il sostegno di oltre venti partner molto diversi tra loro. Un comitato scientifico e uno operativo hanno giocato un ruolo cruciale nel garantire l’eccellenza necessaria ad un evento del genere.

Un ulteriore fattore di successo è stata la digitalizzazione di processi critici, come le iscrizioni. “Da tre anni a questa parte, il servizio di ticketing fornito da Rete del Dono si è rivelato indispensabile, permettendoci non solo di semplificare certe operazioni ma anche di raccogliere dati fondamentali che altrimenti andrebbero persi, quali l’origine degli iscritti e i canali tramite i quali sono stati acquisiti.”

Valeria Vitali

Dopo una laurea in Scienze Politiche presso Università degli studi di Pavia e un Master in Cooperazione e Sviluppo a Barcellona, ha iniziato il suo percorso professionale in Italia, occupandosi di comunicazione, per poi allargare i suoi orizzonti all’estero. È proprio qui che nasce l’idea di Rete del Dono, l’idea di diffondere in Italia una rivoluzione culturale che avvicini le persone al dono, inteso come gesto di impegno civile. L’innovazione digitale ha fatto la sua parte, facilitando e dando maggior concretezza a questo progetto costruito insieme ad Anna Siccardi.

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