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Sono ormai più di 200 le B-Corp italiane certificate. Si tratta di aziende che si impegnano a rispettare gli standard per garantire un impatto positivo sui propri dipendenti, sulla società e sull’ambiente, conciliando l’economia e il profitto con l’etica e la sostenibilità. Ma come e perché diventare una B-Corp? E quanto è importante misurare le performance in ambito ambientale e sociale? Ne parliamo con alcune B-Corp e Società Benefit italiane.

Perché diventare una B-Corp

Perseguire un modo nuovo di fare economia è alla base della scelta di Spazio Noprofit Società Benefit Srl. “Forniamo servizi a enti del Terzo Settore” spiega Giuliana Catellani, responsabile d’impatto. “Per questo al primo posto mettevamo già il benessere delle persone e dell’ambiente. La certificazione B-Corp è stata lo strumento per misurare oggettivamente i nostri risultati, per vedere se stavamo andando nella giusta direzione”. Un ente terzo che certifica il proprio impegno è fondamentale, le fa eco Luca Pereno, Amministratore presso Ri-generiamo Srl Società Benefit. “Abbiamo voluto superare il concetto tradizionale di responsabilità sociale e ambientale, creando nel nostro caso un nuovo rapporto tra mondo profit e non profit”.

Una community eterogenea

Aziende che operano nei settori più disparati dunque, ma accomunate da un’idea precisa sul ruolo che il proprio business dovrebbe avere nella società. “Diventare una B-Corp ci ha permesso di confrontarci con una community che condivide il nostro impegno” dice Giuliana. “E anche di comunicarlo meglio” aggiunge Luca. “La certificazione è un bollino che ci rende immediatamente identificabili”. Anche Matteo Trotti, Chief Quality Officer presso D-Orbit, sottolinea l’efficacia della certificazione per raccontare l’impegno della propria azienda. “Ci occupiamo di logistica spaziale e vogliamo che lo spazio sia sempre più accessibile, ma soprattutto un ambiente da preservare proprio come la Terra, contro i detriti come i satelliti ancora in orbita ma non più attivi”.

Impatto sociale e sostenibilità ambientale

È proprio la sostenibilità ambientale il fattore più facile da misurare per le aziende, perché è un’azione legata alla produzione, sinergica anche all’adeguamento alle normative. Oggi in effetti il format di certificazione favorisce questo tipo di metriche. “L’impatto sociale delle nostre attività è un po’ penalizzato, come l’attenzione alle persone, a partire dai propri dipendenti, o il creare lavoro” dice Catellani. “Le ricadute sociali sono più difficili da realizzare e anche più complesse e costose da misurare, mentre la riduzione dell’impatto ambientale garantisce anche risparmi economici nel medio termine” ammette Pereno. “Un solo impact assessment penalizzerà sempre qualche aspetto, ma in questo momento metriche sbilanciate sul sociale sarebbero troppo sfidanti” chiosa Trotti.

La misurazione dell’impatto sociale

Tra le B-Corp che lavorano sull’impatto sociale c’è Mamazen. “Siamo Venture builder, ovvero accompagniamo le startup fino a renderle indipendenti con l’obiettivo di portare beneficio nel tessuto economico, condividendo know how. Favoriamo un ecosistema immateriale fatto di persone e competenze” spiega Alessandro Mina. Homes for All favorisce invece cohousing dal basso e forme innovative dell’abitare. Marco Tabbia: “Diamo una risposta per chi cerca casa, ma valorizziamo anche il patrimonio immobiliare in disuso creando rigenerazione urbana. Cerchiamo capitali pazienti, ovvero investimenti che non vogliono ritorni immediati o speculativi. E coinvolgiamo questi stakeholder nella misurazione d’impatto”.

Come diventare una B-Corp

Qualche consiglio su come affrontare il percorso di accreditamento B-Corp.

  • Niente forzature. “Non fatelo per seguire una moda. Valutate se ciò che viene richiesto è in linea con l’identità della vostra azienda” consiglia Catellani. “Non può essere solo un’etichetta, l’azienda deve crederci” aggiunge Mina. “Chiedetevi se fa parte del vostro DNA, ma evitare di fare green e social washing” chiude Tabbia.
  • Richiede molto lavoro. “Tra certificazioni e report, siate consapevoli che ci sarà da lavorare” avverte Catellani. “Ecco perché se non ci credete, farete fatica”. Un grande lavoro dunque, che ha senso se ci si identifica con i valori che lo richiedono.
  • Un’occasione di crescita. Indipendentemente dal raggiungimento degli 80 punti necessari alla certificazione, il percorso è un ottimo banco di prova per autovalutare il proprio operato. “Affrontate il self assessment con la voglia di migliorarvi” suggerisce Pereno. Aggiunge Trotti: “Mettetevi alla prova, perché non costa nulla e dà indicazioni per diventare più innovativi e sostenibili possibile.
  • Guardate al futuro. Non pensatela come un’attività formale, ma sostanziale. “Ragionate sul beneficio comune come obiettivo dell’impresa” dice Tabbia. “È finito il tempo in cui le aziende pensano solo al profit, senza interrogarsi sul proprio impatto” aggiunge Mina. “A tendere ci saranno solo B-Corp” Trotti è convinto. “Iniziate oggi, ci sono già tante best practice da copiare per cominciare questo cammino”.
Anna Maria Siccardi

Laureata in Fisica presso Università degli Studi di Torino. Imprenditrice attiva nel settore dell’innovazione digitale sin dal 1998, ha partecipato alla nascita e allo sviluppo di aziende web quali CHL, Bakeca, Seolab, Wickedin, Jojob. E’ membro del Comitato esecutivo del Club degli Investitori di Torino. Nel 2011 ha fondato Rete del Dono insieme a Valeria Vitali e da allora si occupa di trasformazione digitale del Terzo Settore.

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