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Nel terzo settore serve un cambiamento del fundraising, ma allo stesso tempo è il fundraising stesso che può guidare il cambiamento. Anzi, deve farlo. Perché se è vero che le idee sono importanti, è dai fatti che si vede la novità. E allora bisogna rischiare, esplorare, provare, ma soprattutto innovare.

Proprio l’innovazione è stata al centro dell’Assif Day 2023, aperto dal presidente di Assif, Nicola Bedogni, partendo dal passato e parlando del futuro: “il Covid ha cambiato il mondo e anche noi, sia nel male che nel bene. Ma la resilienza da sola non basta, deve diventare generativa per poter portare un cambiamento. Così il cambiamento è occasione duplice, per rinsaldare e rafforzare ciò che abbiamo e per creare e costruire cose nuove e diverse”.

“L’innovazione ha bisogno di integrità e identità, ma soprattutto di collaborazione” ha ricordato Giangi Milesi, vicepresidente di Fondazione Pubblicità Progresso. “Se si vuole avere un impatto sulla società, bisogna partire dai valori comuni, anche quando parliamo di enti del terzo settore e aziende” secondo Antonio Bebba, Pfizer Diversity, Equity & Inclusion Regional Operations Lead Europe. Insomma bisogna vivere quello che si dice, perché tre sono le cose che stimolano il cambiamento, secondo Maura La Greca, responsabile Comunicazione e Marketing di Antoniano: “la carezza, intesa come attenzione e accoglienza, il buon esempio, la fiducia.

È dunque il non profit che fa emergere i bisogni all’interno della società, ma manca ancora la libertà di movimento, dice l’esperto Carlo Mazzini “La Riforma ha portato tante novità, ma non ha tolto la burocrazia. Però il problema più grande rimane all’interno della Non Profit, che non deve per forza scimmiottare il marketing commerciale prendendone solo il peggio”.

Un tema, quello del rapporto col marketing profit, che è ritornato negli interventi: “il marketing fa sostanzialmente questo, lavora sul percepito a favore della manipolazione, al netto di tutti i suoi buoni propositi” ha confermato la giornalista Elena Inversetti. “Noi del Non Profit possiamo scegliere di concentrarci unicamente sul bisogno a cui non servono manipolazioni”.

“C’è un aumento delle richieste di posizioni di community fundraiser dopo il Covid”, ha spiegato Diego Ierna, cofounder di Job4Good, il che indica che c’è uno spazio per innovare all’interno delle Onp. Però per farlo dobbiamo partire dallo sguardo giusto. “Pensiamo alle domande fondamentali e ai bisogni, non agli strumenti di fundraising. I risultati arriveranno – assicura Andrea Romboli, Ceo dello Studio Romboli – perché siamo nella direzione giusta, anche se ci vorrà tempo”.

Come Rete del Dono, il cambiamento l’abbiamo vissuto in prima persona. La pandemia è stata certamente disruptive, c’è stata la corsa al digitale e al crowdfunding perché non c’era alternativa. Ha toccato tutte le organizzazioni, grandi e piccoli, forzandole a cambiare il loro modus operandi – sia dal punto di vista dell’erogazioni dei loro servizi, che sul fronte della raccolta fondi

Come Rete del Dono, il cambiamento l’abbiamo vissuto direttamente. La pandemia è stata disruptive. Quando è scoppiata, c’è stata la corsa al digitale e al crowdfunding. Ma non era una scelta, semplicemente non c’erano alternative. È stato così per tutti, sia per le grandi che per le piccole organizzazioni, forzandole a cambiare il loro modus operandi – sia dal punto di vista dell’erogazione dei loro servizi, che sul fronte della raccolta fondi.

Oggi sono passati quasi tre anni e ci possiamo farci una domanda necessaria: c’è stata un’effettiva trasformazione? Proviamo a rispondere toccando vari punti

 

Crowdfunding, poca formazione

Finito l’entusiasmo iniziale, sono venute al pettine tutte le mancanze di chi si è approcciato solo per un bisogno, senza approfondire lo strumento.

L’esperienza è necessaria per arrivare alla competenza, ma non è sufficiente. Serve vera formazione, approfondire con chi ha best practice da raccontare e mettersi in gioco al 100%, solo questo porta a vera crescita. Bisogna credere nello strumento per sfruttarlo al massimo e capirne le potenzialità. Soprattutto perché il crowdfunding richiede un cambio di mentalità, il passaggio da una raccolta fondi dall’alto a una raccolta fondi diffusa, dal basso, che vede protagoniste le persone e non l’ente.

Ci siamo anche domandati se ci fossero differenze tra aziende, non profit e individui, ma la verità è che non ve ne sono. Ci sono esempi positivi e negativi in ogni categoria. Non è questione di che cosa si è, ma di come si è.

Alcune/i hanno scelto di continuare ad approfondire il crowdfunding, di intraprendere un percorso strategico che portasse lentamente a un cambiamento sistemico del loro modo di lavorare e coinvolgere i propri stakeholder, andando incontro a una vera e propria trasformazione.

Altre/i hanno continuato con un semplice approccio strumentale senza di fatto trasformarsi.

A livello di numeri, il quadro è comunque positivo se pensiamo che la raccolta fondi media per progetto è arrivata a 8.000 euro nel 2022, rispetto ai 5.000 euro pre-pandemia.

 

Prossimità e comunità è ciò che si ricerca

Confermiamo che il community fundraising è in forte crescita. C’è un certo desiderio di prossimità, ovvero la voglia di generare impatto sul territorio in cui si vive, in cui si hanno le proprie radici e le proprie relazioni. Perché il dono è anche desiderio di condivisione con la propria rete di contatti.

Questo ha stimolato la crescita del personal fundraising al di fuori del contesto sportivo, dove era già molto forte. Non a caso sono in aumento le organizzazioni che lo hanno integrato nei loro eventi. Sono anche spuntate le prime azioni sistemiche e strategiche di coinvolgimento dei volontari in un’ottica di personal fundraising.

 

I giovani crescono e si attivano

La bella notizia è che stanno aumentando i donatori tra i 18 e i 24 anni. Dopo decenni in cui li abbiamo tenuti lontani perché non considerati interessati alle nostre tematiche o non portatori di denaro, con il crowdfunding si sono avvicinati loro stessi e oggi la conversione al dono è più alta rispetto alle altre fasce d’età. Sono interessati, sono attivi, sono rumorosi sui social, sono capaci di trascinare altri amici e coetanei senza vergogna di metterci la faccia anche sui loro canali, sono anche di ispirazione per i genitori, i nonni, altri adulti.

Quello che è importante notare è che non sono fidelizzati a una sola causa, non c’è qualcosa che sta loro a cuore e tutto il resto non importa, come spesso succede per i più grandi. Amano sostenere tante cause diverse, fino a 5. Questo ci richiede una messa in discussioni dei nostri principi e di alcune convinzioni. Ma è comunque una grande sfida, che dobbiamo provare.

Come esempio che mette sicuramente insieme questi due ultimi punti, non possiamo che ricordare la Campagna del Climate Social Camp. Un senso di comunità tra giovanissimi interessati a organizzare un evento e a portare avanti i valori della sostenibilità ambientale, che ha portato a raccogliere 30.000 euro da oltre 850 donatori. Un numero altissimo per tante donazioni spesso piccole se non piccolissime. Senza dubbio un ottimo segnale di un fenomeno diffuso e in crescita dentro una generazione sensibile e molto curiosa.

Valeria Vitali

Dopo una laurea in Scienze Politiche presso Università degli studi di Pavia e un Master in Cooperazione e Sviluppo a Barcellona, ha iniziato il suo percorso professionale in Italia, occupandosi di comunicazione, per poi allargare i suoi orizzonti all’estero. È proprio qui che nasce l’idea di Rete del Dono, l’idea di diffondere in Italia una rivoluzione culturale che avvicini le persone al dono, inteso come gesto di impegno civile. L’innovazione digitale ha fatto la sua parte, facilitando e dando maggior concretezza a questo progetto costruito insieme ad Anna Siccardi.

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